Un Evento a Teatro di Valerio Malvezzi
Scopri quale è il vero segreto dell’Economia Umanistica che rende l’uomo ricco, felice e in pace con sé stesso
Un Evento a Teatro di Valerio Malvezzi
Scopri quale è il vero segreto dell’Economia Umanistica che rende l’uomo ricco, felice e in pace con sé stesso
Un Evento da vivere quando vuoi:
Stiamo vivendo un’epoca sciocca, nella quale le regole sono scritte da persone che pensano di essere intelligenti.
In materia economica, è ritenuto normale da decenni far soffrire la gente, per esempio osservando i risultati palesi dell’introduzione dell’Euro nel mio Paese, nel convincimento indimostrabile che “se non avessimo fatto così, sarebbe stato peggio”.
Così, si procede per divieti a far questo e a far quello, come per esempio indebitare oltre certi parametri – privi di qualsiasi fondamento scientifico – lo Stato (facendo così indebitare il sistema privato, famiglie e imprese). Tali divieti non hanno più nulla di etico, anzi si vieta il dibattito morale, in nome del tecnicismo economico
Ciò ci porta a un mondo governato da sciocchi. Si realizza cioè il “problema di Lucrezio”, dal nome del filosofo e poeta latino per il quale lo sciocco era colui che vedeva la montagna più alta del mondo pari a quella più alta da lui osservata.
Questo metodo scientifico, già noto agli antichi egizi che usavano misurare – per prevedere gli scenari peggiori – il livello delle piene del Nilo, è quello che ha sempre portato, nella storia, ai disastri. Nell’epoca del post-coronavirus, ci sono ancora, in economia, persone che consigliano i Governi del mondo con questa ottica di osservazione; quella del passato. Così, non riescono a prevedere il disastro sociale che sta per abbattersi, nel XXI secolo, sulle teste dei più deboli. Gesù – con molta umiltà lo affermo – non avrebbe ascoltato i pareri di questi esperti, per difendere gli ultimi.
Basti osservare ciò che sta succedendo, nel continente europeo e nel mio Paese, in particolare, nello sfruttamento economico e sistematico degli ultimi, dei più deboli, che per ragioni di ingiuste leggi fiscali asimmetriche rispetto al lavoro dipendente sono oggi i lavoratori autonomi, i liberi professionisti, gli stagionali, i lavoratori precari, e le categorie di chi non ha lavoro a tempo indeterminato o potrebbe perderlo e non ritrovarlo.
Proprio per tale ragione io parlo di economia umanistica, poiché per me essa, con tale termine pleonastico – in un mondo normale, almeno – dovrebbe occuparsi del bene dell’uomo, e non di qualche uomo. Ci furono Papi che spiegarono in grandi encicliche questo concetto, oggi dimenticato.
Quando l’essere umano è fragile, è necessario che tutto funzioni alla perfezione, poiché non ci sono accumulazioni di tutele per l’individuo, ma solo per il sistema.
Un qualunque shock esogeno – come lo chiamiamo in economia – conduce alla disperazione dei più deboli, come abbiamo visto con il cigno nero del coronavirus.
Così, ogni giorno, milioni, miliardi di persone, assumono la loro buona dose di veleno quotidiano, e si apprestano a perdere diritti, certezze e sicurezze, perché, secondo i fautori del “libero mercato”, questo è il sacrificio voluto dai loro dei pagani, sull’altare della sicurezza e stabilità del sistema.
Non passa giorno che io non legga di un mio concittadino convinto del fatto che negli anni ’70 ed ’80 il nostro Paese ha vissuto “al di sopra delle proprie possibilità”, e quindi oggi sia giusto espiare le colpe dei padri.
L’essere umano è diventato, nell’economia capitalistica, soltanto un pacco, una merce, un fattore di produzione, governato in un mondo che usa lo stress e il disordine come ricetta quotidiana universale.
Dato che non esiste il contrario di “fragile”, dovremo allora dire che “antifragile” sia il requisito cercato dal sistema economico attuale, a discapito della sicurezza e della stabilità mentale dell’individuo, ridotto a ingranaggio del sistema economico.
Oggi, per gli interessi dell’economia capitalistica, quella spada è appesa sulla testa di cortigiani moderni, Presidenti del Consiglio che hanno venduto l’anima al tiranno.
Si fa vivere l’uomo moderno nell’idea del mito della Fenice, lo splendido uccello che muore e risorge dalle proprie ceneri. Al contrario della idea di regno dei cieli, si suggerisce la rinascita delle borse, facendo credere che sia possibile una crescita eterna, basata sul sacrificio dei deboli, per la ricchezza imperitura dei ricchi.
Si fa vivere l’uomo moderno nel mito dell’Idra, creatura mitologica greca simile a un rettile dalle numerose teste, che viveva nel lago Lerna, nei pressi di Argo.
Si uccide la Grecia, rea di non aver reso abbastanza soldi alle banche speculative tedesche e olandesi che hanno saccheggiato quel Paese, ma le si rubano i miti pagani antichi, perché sono utili al paganesimo dei mercati.
In realtà, si vuole non colorare il mondo di bianco e di nero, di bene e di male, perché è scomodo per fare gli affari. Del resto, gli antichi greci non avevano tutti i colori, ma anche i popoli semitici avevano un vocabolario molto ridotto per definire i colori, che ruotavano attorno al bianco, al nero e a pochi colori dell’arcobaleno.
Se doveva descrivere l’azzurro, Omero scriveva del “mare color del vino” (oinopa ponton). Ai tanti che mi chiedono cosa io intenda per economia umanistica, rispondo che
vorrei una economia dove sia chiaro cosa sia il nero e il bianco, il male e il bene, e dove il mare abbia il color del vino.
Si chiamano debito privato, mentre nascondono la realtà parlando solo di debito pubblico. Si chiamano deflazione salariale, mentre nascondono la realtà parlando di flessibilità del lavoro. Si chiamano distruzione dei diritti personali, mentre nascondono la realtà parlando di lotta al contante o alla evasione fiscale.
Chissà perché, pensando sempre al barista sotto casa che non batte uno scontrino, e mai alla multinazionale o alla banca, che elude le tasse miliardarie.
L’idea che il danno dipenda dalla dose giustifica il fatto che piccole menzogne quotidiane creino, alla fine, una indiscussa verità. Vivremmo nel migliore dei mondi possibili, il sistema capitalistico sarebbe l’unico realizzabile, e non si potrebbe uscire dall’euro, per il mio Paese, altrimenti ci sarebbero le invasioni bibliche delle cavallette in Egitto.
Se qualcuno fa osservare, dai dati economici, di risparmio e soprattutto occupazionale, che in realtà queste ripercussioni negative sono già realtà, l’obiezione immediata è che, se non si fosse fatto come impone il pensiero unico, “sarebbe andata molto peggio”. Dato che non esiste controprova, la gente si abitua a pensare di essersi salvata, perché sta soltanto molto male.
Così, si indottrina il popolo alla sofferenza, perché il ragionamento è che “artificia docuit fames”. Guardate che se è entrata nella letteratura globale e nelle enciclopedie la traduzione di una frase detta da un banchiere – whatever it takes – significa che il salvare una moneta, e non il popolo, giustifica ogni mezzo.
Sia chiaro, ci si è mossi per salvare l’euro; non ho visto lo stesso entusiasmo da parte dello stesso soggetto che ha pronunciato quella frase per il povero greco sdraiato in lacrime ai piedi di un bancomat. Al contrario, ascolto che vogliono abolire il contante, per il nostro bene.
In un mondo nel quale gli economisti si affannano a discutere solo di moneta fiscale, o complementare, o di tipo di banca centrale o di banche globali, non esiste lo spazio della discussione per chi abbia ali di gigante.
Nessuno spazio esiste per il pensiero puro, quello inerente la ricchezza vera dell’uomo, che certamente non è quella materiale ma che, senza un salario di sussistenza garantito a tutti, non può nemmeno essere discussa. Quel sistema non va riformato; va raso a zero senza compromesso.
Dove non vi è spazio per i cuori, l’economia diventa arida. Non si costruiscono gli ospedali, anzi si distruggono, come è successo nel mio Paese nell’ultimo decennio, perché sarebbero uno “spreco” di risorse pubbliche, e perché si deve rispettare il vincolo sacro pagano del “pareggio di bilancio”.
Così, per compiacere all’Unione europea, i nostri governi dell’ultimo decennio hanno fatto scempio della sanità pubblica, perché le spese nella sanità sarebbero state uno spreco inutile di risorse del sistema, salvo accorgersi, anni dopo, che durante il COVID, migliaia di persone sono morte perché avevamo una frazione dei posti letto di pochi decenni or sono.
Nell’Italia della “liretta”, negli anni ’80, avevamo molti più posti letto di terapia intensiva di oggi, ma il mito giornalistico informa tanti giovani, che quegli anni non hanno vissuto, del fatto che allora si viveva “al di sopra delle nostre possibilità”, e che a causa di tali “sprechi” si sarebbe accumulato il debito pubblico italiano.
Nessun cenno viene fatto alla vera ragione, e cioè gli interessi speculativi non dovuti a un sistema di banche private, alle quali abbiamo svenduto il nostro Paese.
Nuovamente, non si studia la natura, per la quale i corpi sono sovra alimentati: esistono doppi controlli nel corpo umano, come nel sistema nervoso, nei polmoni, nell’apparato circolatorio o visivo. Nella natura, la ridondanza non è vista come spreco, ma come assicurazione contro le carestie.
In economia il vento della fede cieca pagana del mercato alimenta la candela del sacrificio e spegne il fuoco della libertà.
Presto, togliendo il contante, chi avrà un protesto potrà morire di fame ai bordi delle strade, e i giornali di regime faranno finta di non vederlo.
Ai social, basterà chiudere gli account di coloro che non saranno allineati col pensiero unico. Il processo decisionale non predittivo in condizioni di incertezza continuerà a dibattersi sull’ultimo cigno nero (vedi il COVID), e si continuerà a parlare di asimmetria della resistenza: il più forte, sopravvive allo shock.
Non vi è molto spazio per gli ultimi, perché, sul mercato del capitale, non sono mai i primi. La cultura economica moderna è deterministica, pone una fiducia cieca negli strumenti predittivi (che di solito non prevedono mai una crisi o un fallimento), e tutto ciò che Nietzsche chiamava dionisiaco, cioè misterioso o impenetrabile, non trova spazio.
L’errore che stanno commettendo i miei avversari del pensiero unico neo liberista è quello di mettere i popoli con le spalle al muro, sfruttandoli fino alla disperazione.
Credo che nel mio Paese non sia lontano, ormai, il tempo della rivolta sociale. Storicamente, tutti gli eserciti senza speranza compirono imprese impossibili sulla carta, a partire da Agatocle di Siracusa, che combatteva i Cartaginesi e approdò in Africa.
Tutti, adottarono la tecnica dell’incendiare le navi, costringendo i propri eserciti alla vittoria o alla distruzione. L’unica differenza è che i moderni comandanti non sanno di stare incendiando le navi dei popoli;
Si cerca il pareggio dei bilanci degli Stati, e si perde quello delle famiglie e delle imprese.
Ci si preoccupa solo del rapporto tra debito pubblico e PIL, e non ci si accorge del fatto che il rapporto tra debito privato e PIL sia sensibilmente peggiore, sia in termini di trend, sia in termini di stock.
Si finge di parlare il linguaggio della ragione, mentre si usa il linguaggio dell’inconscio. Si spiega che si voglia cambiare il mondo, renderlo un posto in cui sia possibile accumulare ricchezze perenni, e non si ricorda che, per cambiare davvero il mondo, occorre cambiare sé stessi, in un percorso spirituale che, da solo, è in grado di plasmare la materia.
Trattano i popoli come bambini: ci spiegano che non sia possibile uscire da una decisione politica come l’essere entrati nell’Unione Europea e ci impongono continui divieti. Sanno benissimo che dietro al divieto esiste la malattia, che la guarigione impone la disobbedienza, e giocano sul fatto che i popoli fragili temono, come i bambini, l’abbandono del genitore.
Il continuo lavaggio del cervello mediatico, in economia, è funzionale al farci rivivere quotidianamente gli stessi pensieri, in modo che il vizio divenga la nostra condizione naturale e non sia consentito invece un pensiero laterale. Fanno credere al popolo oppresso che il sistema economico che lo opprime sia l’unico possibile.
Un pensiero come quello religioso, che parli di luce, non è gradito in un contesto in cui il popolo deve essere, necessariamente, tenuto all’ombra della caverna di Platone, e in cui lo schiavo liberato deve essere sacrificato.
In realtà, se si tornasse a una visione filosofica dell’economia, si dovrebbe discutere di economia della conoscenza, e ci si dovrebbe allora chiedere quanti mezzi, capitale e lavoro siano incorporati in tale valore; la conoscenza.
Di qui, nella mia visione di economia umanistica, non può non esserci spazio per il lavoro e per la ricerca dell’uomo.
Il valore del pensiero filosofico, del ricercare valori veri e profondi, avulsi dai prezzi delle borse, dipende dalle due anomalie della conoscenza.
La prima anomalia è il fatto che, a differenza di qualsiasi merce, la conoscenza è un processo irreversibile, che crea un solco tra passato e futuro.
La seconda anomalia è il fatto che il valore utile della conoscenza dell’uomo, una volta prodotta, è potenzialmente infinito.
Ci si affanna a discutere di sfruttamento delle risorse del pianeta, cioè di temi reversibili, ma poco tempo si impiega a parlare di conoscenza, cioè di un processo economicamente irreversibile.
Il processo di produzione e riproduzione della conoscenza non soltanto sono su piani diversi, ma appaiono su unità di scala non comparabili.
Di qui, ogni conoscenza ha uno stock potenzialmente infinito di valore utile, per tutti gli usi futuri. L’uso di tali conoscenze consente una propagazione nello spazio e nel tempo potenzialmente infinita, e certamente indefinita, in funzione dei potenziali ambiti applicativi.
In tale visione, la risorsa della conoscenza a differenza delle altre sempre citate e osannate, ha quattro caratteristiche:
Così ragionando, in economia umanistica, sentiremmo parlare soltanto di scuole, università, ospedali, ponti, strade, di lavoro delle persone necessario per far funzionare tutto questo, e non di discorsi aridi di bilanci, come se il denaro, e non la vita dell’essere umano su questa terra, fosse il fattore scarso in natura.
Ma tutto questo necessiterebbe di un valore umano che gli economisti di oggi hanno perduto, e che era alla base dell’insegnamento di Gesù Cristo: l’umiltà.
Umiltà di comprendere la realtà, di andare in un comune mercato di periferia per capire i problemi della povera gente, umiltà di non chiudersi in dotti simposi a trattare di cose lette sui libri, scritte da studiosi per altri studiosi, generalmente incapaci di realizzare una qualsiasi attività economica e soprattutto alieni al rischio di mettere la firma sulla propria casa per ottenere il prestito bancario necessario a realizzarla.
Eppure, altezzosamente, insegnano agli altri cosa fare o non fare, e indicano ai governi le ricette, solitamente di rigore e sacrificio. Per gli altri, sia chiaro, non certo per le loro carriere.
In tale accezione, io non comprendo come si possa razionalmente continuare a sostenere che qualsiasi tipo di pensiero etico, compreso quello religioso, possano essere esclusi dal dibattito economico, come di fatto è avvenuto negli ultimi decenni.
Quella visione della economia borsistica ha portato solo enormi accumulazioni di ricchezze in capo a pochissimi nel mondo, a danno di miliardi di esseri umani.
Appare evidente che sia forse sostenibile sotto il piano dell’efficienza, ma assolutamente inaccettabile sotto il profilo etico.
Se oggi andiamo su una economia della conoscenza, la caratteristica centrale di questa economia è la leggerezza, il fatto che sia snella, sempre più dematerializzata, sempre più virtuale. In quel mondo, ha ancora senso ragionare solo del capitale?
L’universo creato è molto più ampio di quello che credono con sicumera queste persone, e molto più vasto delle loro umane conoscenze. Paolo VI, nella Populorum Progressio, nel 1967 scriveva: “Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica (PIL). Per essere autentico, deve essere volto alla promozione di ogni uomo, e di tutto l’uomo.”
Vuol dire di ogni essere umano, e di tutto l’animo umano. Per tale ragione l’economia che io propongo – che chiamo “umanistica” – è quella che pone al centro l’interesse dell’uomo, e per l’uomo.
Al contrario di quella capitalistica, che concentra la ricchezza in capo a pochi individui, quella umanistica è volta al progresso completo dell’intera umanità, non come concetto astratto, ma misurabile in ciascuno di noi, nella ricerca di una giornata felice; perché la felicità è il bene raggiunto il quale non se ne può desiderare uno migliore, e perché quel bene non può essere misurato né scambiato in nessuna borsa del mondo.
Questa è l’Economia Eterna.
E di ciò parlo in questo evento
online (on demand), da seguire da casa tua
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Puoi acquistare le registrazioni dell’evento e rivederlo da casa tua quando preferisci.
Costo 37 €, che comprende:
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Chi è Valerio Malvezzi?
Mi occupo di insegnare finanza e strategia all’università e ad imprenditori, ho una società che si occupa di formazione per commercialisti (www.masterbank.it) e una dove mi occupo di consulenza strategica (www.afimpresa.it), ho scritto un thriller tecnologico dal nome Futura che è stato per settimane Best Seller al numero 1 della classifica di Amazon libri.
In più, parlo da anni di Economia Umanistica come unica soluzione al declino di questo modello economico e sociale.
Ho cercato di unire materie così apparentemente distanti tra loro come filosofia, economia, fisica quantistica, spiritualità e politica: tutto questo è servito per creare questo nuovo percorso, chiamato ECONOMIA DELL’ANIMA, che ritengo sia davvero il riassunto della mia vita, delle mie esperienze e di quello che voglio trasmettere alle persone.
I primi eventi (disponibili su www.economiadellanima.it – www.itempidellanima.it – www.econfelicita.it – www.museomalvezzi.it) hanno avuto un enorme successo, con un entusiasmo manifestato al termine dello stesso sopra ogni aspettativa.
Con questo nuovo evento, tratto degli aspetti pratici dell’economia Umanistica, che ridefinisco “Economia Eterna” in quanto quello che affermo viene dimostrato dalla storia dell’uomo.
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